Lo Stato contro i collaboratori di giustizia, Ascari: ''Sconvolti dall'apatia delle istituzioni''

11.10.2024

di Giuseppe Cirillo

Aiello: "I figli dei 'pentiti' spinti a scelte sbagliate". Il dolore della moglie di un collaboratore: "Lasciati soli dallo Stato"

Si è tenuta presso la Camera dei Deputati la conferenza stampa organizzata dall'associazione "La Tazzina della Legalità" per discutere del contributo fornito dai testimoni e collaboratori di giustizia, nonostante la gestione tristemente paradossale dello Stato, che spesso porta chi decide di collaborare a riconsiderare la propria scelta, esponendoli, in molti casi, a gravi rischi per la loro sicurezza e quella delle loro famiglie. Tra i presenti alla conferenza, moderata dal presidente dell'associazione Sergio Gaglianese, che si è svolta martedì pomeriggio, anche Mauro Esposito: ingegnere, testimone di giustizia e autore del libro "Le mie due guerre" (edito da La Nave di Teseo), nel quale racconta la sua decisione di non piegarsi alla 'Ndrangheta, scegliendo invece di rimanere un uomo libero denunciando i boss all'interno di un'aula di tribunale. "Io sono una vittima tipica della mafia, dove le minacce colpiscono la famiglia e si subiscono violenze". La storia di Esposito, come tante altre simili, è segnata anche dalla solitudine che accompagna la necessità di difendersi "da tutto quello che accade". Entrando nel vivo del suo racconto, Esposito ha spiegato di aver subito "un danno di cinque milioni di euro", per aver "perso una causa civile contro persone che sono state arrestate sei mesi dopo". Due anni più tardi - ha proseguito il testimone di giustizia - il Parlamento ha dichiarato "questa sentenza un errore giudiziario".

Nell'immagine Sergio GAGLIANESE presidente e fondatore dell'associazione LA TAZZINA DELLA LEGALITA'

E aggiunge: "In questi anni ho dovuto affrontare anche il delicato tema del risarcimento dei danni", legato alla legge n. 44 del 1999, che permette alle vittime di mafia di ottenere la sospensione del pagamento delle tasse. Una norma concepita per sostenere le vittime di estorsioni, usura e criminalità organizzata, sospendendo i termini per il pagamento delle imposte, dei contributi previdenziali e altri oneri fiscali. "Il tema del risarcimento dei danni è importantissimo. La legge 44/99 funziona, ma potrebbe funzionare meglio - ha precisato -; anche nel mio caso le tasse sono state sospese per tre anni. Tuttavia, alla fine di questi tre anni, non avendo ricevuto i risarcimenti previsti entro i 90 giorni, l'Agenzia delle Entrate ha comunque preteso il pagamento, cosa che non sono riuscito a fare. Così, dopo essere stato 'pignorato' dai mafiosi - ha aggiunto - l'Agenzia delle Entrate ha iniziato a pignorare anche i nostri beni e conti correnti." - prosegue - "Ricordo un ordine del giorno di qualche anno fa, votato credo all'unanimità in Parlamento, in cui si chiedeva la sospensione delle tasse e altre misure simili per tre anni, che le vittime di mafia fossero effettivamente risarcite dei danni entro 90 giorni, cosa che non avviene mai - ha sottolineato -, e di eliminare la scadenza dei tre anni per il pagamento delle imposte all'Agenzia delle Entrate, posticipandola al momento del risarcimento. Bene - ha concluso Esposito - questo ordine del giorno, che avrebbe potuto salvare tantissime aziende, non è mai diventato realtà. Oggi sono qui a chiedere se è possibile attuare questo provvedimento, che è di vitale importanza".

Stefania Ascari: "A pagarne le conseguenze sono soprattutto i minori"


Sul ruolo dell'Agenzia delle Entrate, che risponde direttamente al Ministero dell'Economia e delle Finanze, è intervenuta anche l'onorevole Stefania Ascari, che ha presentato un'interrogazione scritta al ministro dell'Interno per chiedere cosa il governo intenda fare riguardo al gravissimo attacco ai collaboratori di giustizia. "La situazione è molto seria - ha ribadito l'onorevole Ascari - soprattutto per quanto riguarda i ritardi nelle risposte da parte degli organi competenti; e a pagarne le conseguenze sono soprattutto i minori, che subiscono ritardi nell'ingresso a scuola e mancanza di supporto psicologico". Anche operazioni semplici come l'assegnazione di un medico di base "diventano un labirinto per chi rischia la propria vita se si espone". Diverse segnalazioni indicano un "crescente numero di casi in cui la scorta è stata revocata", e in alcuni casi "è stata ridotta, senza giustificato motivo, in particolare ai collaboratori di giustizia", che rimangono persone "esposte a minacce di varia natura". Ha aggiunto: "Vorrei ricordare Salvatore Coppola, ex collaboratore di giustizia, ucciso il 12 marzo 2024 a colpi di arma da fuoco a San Giovanni a Teduccio, Napoli, dopo che gli era stata tolta ogni forma di protezione". Per questo e altri motivi, "siamo dovuti intervenire più volte per sollecitare richieste di protezione per chi ha denunciato e collaborato" con la giustizia. "Siamo rimasti sconvolti - ha sottolineato Ascari - dall'apatia e dall'inerzia dimostrate dalle istituzioni".

Piera Aiello racconta il dramma dei collaboratori di giustizia


"Prima di entrare in Parlamento avevo dei pregiudizi nei confronti dei collaboratori di giustizia - ha spiegato l'ex deputata Piera Aiello -, poi ho capito e sono rimasta sorpresa quando ho incontrato uomini che avevano deciso di cambiare vita". Uomini che, insieme alle loro famiglie, devono affrontare mille difficoltà dopo aver rifiutato la realtà della criminalità organizzata. Non meno gravi, infatti, sono le difficoltà che devono affrontare i figli dei collaboratori di giustizia, che "non ricevono nemmeno un supporto psicologico". Come se non bastasse, i collaboratori di giustizia che cercano di reinserirsi nella società attraverso l'acquisto di una casa o l'avvio di un'attività commerciale, "vedono tutto bloccato al momento dell'atto notarile per uscire dal programma di protezione, perché hanno accumulato debiti con il fisco". Una situazione assurda, in cui lo Stato si ritorce contro il collaboratore di giustizia, nonostante lo abbia precedentemente aiutato.

Mauro ESPOSITO

"In questo modo rimarranno senza casa e senza lavoro, ma la cosa peggiore - ha proseguito l'ex deputata - è che dal 2016 non vengono attuati i cambi di generalità: l'unico strumento sicuro che permette ai collaboratori di giustizia di non essere rintracciati" da chi li vorrebbe assassinare. Eppure, il reinserimento dei collaboratori di giustizia è cruciale, soprattutto se avviene in un contesto di sicurezza per loro e le loro famiglie. "La legge Di Bella toglie i figli agli 'ndranghetisti - ha ricordato Piera Aiello - per aiutarli a reinserirsi in una società migliore, ma poi ai figli dei collaboratori diciamo: 'Non vi diamo niente, tornate a fare lo stesso mestiere che faceva vostro padre prima di entrare nel programma di protezione'. In questo modo li stiamo spingendo verso la malavita". Molti di loro hanno infatti ribadito: "Se mio padre fosse rimasto nel mondo del crimine, forse non ci sarebbe mancato il cibo". Questo perché agli attuali collaboratori manca anche quello: il cibo. Addirittura, "una coppia è stata esclusa dal programma di protezione senza nemmeno la capitalizzazione - la somma di denaro erogata per iniziare una nuova vita in una località sicura - e dal mese di giugno non percepiscono più nulla. Lui - ha sottolineato Aiello - è agli arresti domiciliari e lei non può lavorare. Ora, come fanno a mangiare queste persone?".

Sergio Gaglianese e Piera Aiello

Il grido di dolore della moglie di un collaboratore: "Lasciati soli dallo Stato"

Tra le opinioni e testimonianze condivise durante la conferenza stampa alla Camera dei Deputati, organizzata da "La Tazzina della Legalità", spicca anche quella della moglie di un collaboratore di giustizia, vittima insieme alla sua famiglia di questo 'paradosso' di Stato. Ha raccontato come, attualmente, si trovi costretta a vivere "in una casa affittata dallo Stato", mentre, dal mese di agosto - ha spiegato - è stato loro imposto di pagare ben duemila euro al mese tra affitto e utenze; il tutto senza alcun contributo economico, senza un lavoro e senza risposte dalle istituzioni, mentre corrono il rischio di "essere uccisi, non solo psicologicamente, ma anche fisicamente".